sabato 19 gennaio 2013

Io sono la vita

(di Massimo Enzo Grandi)

“Io stesso sono la vita.
Se dovessi ritirarmi da questo corpo
esso morirebbe”

Vediamo di fare un po’ di chiarezza. Ciò che stò scrivendo è un tentativo di spiegare ciò che sto pensando, e fin qui non ci piove. Ma ciò che sta pensando e frutto del/dei mio/miei corpi?

No. È esclusivamente la tua parte più elevata. Lascia che sia sempre lei a condurre la tua esistenza. Non temere. Tu non hai motivo alcuno di farti del male.

Ho capito. Io entro in differenti stati dell’essere dove però ho l’impressione sia sempre lo stesso.

Esatto.

Tu come pensiero riesci ad attraversare ogni stato ci possa essere.

Ma nel momento che mi “ritiro” dal corpo (intendo quando la mia consapevolezza si stacca in modo definitivo dal corpo materiale) il corpo stesso potrebbe comunque essere in grado di condurre una specie di esistenza da solo?

No assolutamente.

E nei casi di “buio”?  Quando cìoè vivo delle esperienze in uno stato mentale alterato e che in seguito non ricordo, come per esempio mi è successo in alcune situazioni?

In quei casi – come ti ho già detto – è solo una anomalia nella registrazione (degli eventi) a livello conscio di quanto stia accadendo (in effetti in quei casi la coscienza è sempre attiva anche se non se ne ha in seguito un ricordo effettivo).

Quindi lasciati guidare dal pensiero più alto che puoi avere di te stesso.

Ricapitolando quindi c’è un solo “generatore” di pensiero che assume varie “qualità”, dalla più infima alla più elevata. Questo pensiero sono Io e nessun altro. E solo Io e nessun altro posso decidere a quale livello svolgere il (dar seguito al) mio pensiero.

Cerco di dare ora una descrizione della vita stessa nel modo più semplice possibile.

In altri miei post ho parlato dei vari “corpi” che costituiscono la mia realtà (intesa – tanto per dirlo in termini terra/terra – come le varie qualità che il mio corpo fisico conglomera), e l’ho fatto usando terminologie che si trovano dettagliatamente spiegate nelle teorie teosofiche – e non solo.

Per poter capire esattamente a cosa si riferiscono, sarebbe opportuno partire dall’inizio del tutto, vale a dire dal momento stesso in cui dal “nulla”  (riferito non solo a livello personale del mio essere che in questo momento scrive, cioè M.E.G. ma anche a livello di universo manifesto, quindi da un punto di un me divino) dicevo, nel momento in cui dal “nulla” ha inizio la realtà in cui mi trovo.

In questo nulla, per cause “accidentali” nasce innanzitutto una “consapevolezza” di essere nel nulla stesso. Questa “consapevolezza” – il mio primo corpo effettivo – la chiamo semplicemente il “Sè Supremo”, o “Dio” come la Genesi delinea questa prima “presenza”.
Questo è il primo “corpo” (ed a tutti gli effetti anche l’unico) che entra in considerazione e riveste il mio essere degli altri corpi a seguire.

Il secondo corpo è la “visione”, cioè quella sensazione che “l’essere consapevolmente” nel nulla dello stato iniziale, identifica come un primo “illusorio distacco” con la sua “essenza vanescente” consapevole del nulla stesso.

Questa presa di “visione globale” che “l’essere consapevolmente” prende del suo stato viene identificato come il terzo corpo: la “identificazione” di se stesso in un contesto che la “consapevolezza” e “l’identificazione” tendono a porre su un livello separato dall’effettiva sua realtà di “inesistenza”. Questo terzo corpo è l’inizio della creazione esteriore che il Sé Supremo compie per non riperdersi nel nulla. È l’idea stessa della creazione “divina”, lo “Spirito Santo” come qualità creativa dell’”Essere Consapevole” che si sviluppa nella sua “Visione” acquisendo un’identità quasi a sé stante.

Acquisendo la sua propria identità non si ferma ad una singola personificazione che comprende i suoi corpi precedenti, bensì scompone i suoi corpi più sottili in ulteriori corpi che – malgrado siano dei riflessi dell’unico corpo del Sé Superiore da cui provengono – si riflettono in molteplici stati di manifestazione.
Immaginando questo fatto come il riflesso di un raggio di luce attraverso un diamante puro dalle molteplici facce, le quali riflettono questo raggio nelle varie direzioni e con le varie singolarità di ogni singola faccettatura, possiamo avere un’idea di come lo stesso Sé Superiore possa giungere a manifestarsi sotto vari aspetti apparentemente individuali e con caratteristiche di una certa singolare “personalità”.

Ognuna di queste individualità con caratteristiche personali che si manifestano come “corpo mentale” a partire proprio dall’individualità, assume quindi la sua unicità di Sé Impersonale Cosciente in modo separato dal Sé Superiore che ha una Coscienza Universale in quanto è da questi che scaturisce tutto quanto. L’individualità del Sé Superiore – l’unico elemento effettivamente esistente – assume quindi  degli aspetti “simili” che però sono irreali ed illusori malgrado assumano delle proprietà pensanti “autonome”, generano pensieri e necessitano di “sfogare” la loro essenza. Non essendo in grado di farlo verso il Sé Superiore procedono dunque utilizzando le “impurità”, le “scorie” che sussistono nella rifrazione della luce del Sé Superiore attraverso “il diamante” che crea l’individualità, vale a dire la “materia”.

Di base la materia è inerme. Grazie all’azione della visione consapevole di un’identificazione del pensiero però, viene messa in “movimento” intenzionalmente. Avviene cioè un’astrazione delle varie caratteristiche della materia stessa affinché assuma un aspetto piuttosto che un altro. Questa “astrazione” comporta l’animazione della materia stessa a vari livelli vibrazionali che ne stabiliscono ogni sua particolare caratteristica, come l’aspetto (forma, colore, consistenza ecc.) e lo scopo e l’utilità finale nel contensto della sua “destinazione finale” che l’individualità ha stabilito.
Questo corpo è quello Astrale – che agisce appunto anche nel piano detto Astrale dove si ritiene risieda l’anima – ed è il principale agente nei “mondi inferiori” dei tre corpi che risiedono appunto a questo livello “infimo”.

Al corpo astrale infatti soggiacciono il corpo eterico ed il fiscio che stabiliscono l’illusione della consistenza materiale dell’essere umano.

Il corpo eterico è in pratica l’espressione del pensiero che agisce come attrazione delle particelle di materia necessarie a dare la forma “pensata” al pensiero stesso che, a sua volta, diviene “lo spirito” della forma risultante. Quindi, come il pensiero immagina se stesso, così attrae le relative “scorie” materiali (per altro illusorie) a dare una forma apparentemente reale a quanto espresso.

Ecco che quindi il corpo fisico (il settimo, quello che riconosciamo guardandoci allo specchio o guardando qualsiasi cosa in questo mondo di “illusioni”) assume le connotazioni dettate dal suo corpo eterico (il sesto), formato dall’astrazione animata (il quinto) della forma pensiero (il quarto) riflessa attaverso una personificazione di molteplici individualità (terzo) provenienti dalla visione (secondo) che la consapevolezza ha avuto di Se Stessa (il primo e unico corpo esistente).

La differenza tra le varie manifestazioni che posso percepire a livello materiale – quindi del settimo corpo, quello fisico – dipende dunque quindi esclusivamente dalla porzione di riflesso individuale che agisce sul pensiero del raggio stesso. Ecco che quindi un raggio “minimo”, “spento” o “lento”,  rimanda una materializzazione opaca, poco mobile e poco consapevole della propria “personalità” individuale come potrebbe essere una pietra. Mentre più il riflesso assume la maestosità del “raggio base”, la sua luminosità e la sua velocità,  più la “personalità” della materializzazione assume connotazioni che solitamente definiamo “elevate”.


In sintesi abbiamo dunque tre corpi definiti “superiori” in quanto sono ancora consapevoli della propria azione e del proprio intento nel dare seguito alle manifestazioni che ne derivano – manifestazioni per altro necessarie in un certo senso per poter prendere effettiva e più profonda coscenza del proprio stato attualmente ancora indefinito e incerto. Forse per semplicità potremmo chiamarli anche “Padre, Figlio e Spirito Santo” in modo da rendere più chiara l’idea di cosa essi rappresentano.
Da questi 3 corpi “superiori” sono venuti in esistenza gli altri 4 che come esseri umani riusciamo a delineare in un certo senso quasi unanimamente, vuoi usando gli stessi termini usati qui sopra o usandone altri. Dunque il Sé individuale infonde l’anima al corpo fisico grazie al suo “spirito” che li mantine uniti.  Questa unione persiste fino alla disgregazione delle “scorie” che ne delimitano la consistenza illusoria percepibile solo a livello di Sé individuale.

Quando il Sé individuale (il quarto corpo, il pensiero) “abbandona” gli altri tre corpi inferiori (astrale, eterico, e fisico) non scompare ma bensì cessa semplicemente di emanare in quella direzione e con quella intensità il riflesso causato dal Sé Superiore e Personale attraverso le varie sfaccettature del corpo individuale che si stà identificando. Dunque la cessazione dell’esistenza dei quattro corpi inferiori, non significa che il riflesso del nostro Sé Superiore – che comunque è sempre presente nella nostra consapevole visione identificata nel pensiero che poniamo in azione attraendo la materia – cessi di esistere, esso semplicemente “emerge” in un’altra “situazione”.

Ognuno dei “miei” sette corpi qui descritti agisce contemporaneamente. Principalmente lo fa con la propria qualità reale di “Sé Superiore”, lasciandosi però influenzare dalle altre.
Il mio pensiero è dunque frutto di quella parte più elevata di me che mi da la possibilità di esistere. L’impressione che posso trarne che il mio sia più un “pensiero materiale” piuttosto che un “pensiero spirituale” o superiore, dipende esclusivamente da quale stato di “coscienza” stia attingendo le nozioni necessarie per darne una valutazione. Ecco che se mi appresto a valutare una mia qualità semplicemente secondo una valutazione materiale personale o di quelle parti di “me stesso” che credo di riconoscere come individui separata da me, ecco che ottengo una opinione “illusoria” e “personale” sullo stesso livello materiale illusorio.

Quindi il pensiero sono sempre io come Sé Superiore ad esprimerlo, ma la sua valutazione e la sua “identificazione” dipende dalla velocità di realizzazione a cui “posso” accedervi come “identità separata individuale”. Io come corpi superiori sono quindi “puro pensiero immediato e onnipresente”, mentre come corpi inferiori sono filtrato e costruito in uno spazio tempo materiale di “comodo”.
(NB. La “velocità” con cui un pensiero agisce, stabilisce anche l’elevatura del pensiero stesso. Più un pensiero è elevato, più sarà “veloce”. Ma va tenuto presente che il pensiero più veloce, non è quello che “prosegue” più in fretta da un punto A ad un punto B, bensì quello che ci è già).

Il mio pensiero elevato quindi è automatico e non fa distinzione tra se stesso e tutto il resto, non fa distinzione tra il giusto e lo sbagliato. Il mio pensiero elevato lascia che il pensiero relativo al settimo corpo (quello materiale) continui a regolare in modo autonomo il flusso sanguigno nell’organismo e tutte le relative azioni necessarie alla sopravvivenza (assimilazione delle sostanze necessarie ed espulsione di quanto non necessario), lascio che si occupi dell’organizzazione delle sequenze necessarie ad espletare le funzioni fisiche, come camminare o compiere qualsiasi altro gesto. Nel momento in cui però mi soffermo a valutare tutte queste azioni mi lascio ingannare dall’illusione che siano realmente eventi che accadono, mi lascio convincere che sia tutto reale proprio ciò che (in realtà) è l’illusione che mi serve per sentirmi vivo al di fuori della mia essenza di… nulla…

venerdì 4 gennaio 2013

La Sacralità dell'Io-Dio

La mia genesi.

Stabilisco la mia essenza separando i fluidi, ed ecco che ho un alto e un basso, ho qualcosa che posso usare per darmi un’idea di presenza. Confermo questa mia presenza con la sensazione di luce e tenebra in modo da ottenere ogni gradazione di trasparenza e una consistenza materiale del mio essere.

Sono maschio e femmina in quanto non esiste altro essere come me per darmi la possibilità di definirmi in quel senso. Sono immerso nel fluido di me stesso, fluido che rendo più consistente per muovere in esso a piacimento la mia idea. Riempio questo spazio di idee di meravigliosa e indicibile bellezza immaginando i pianeti, le stelle, la terra, gli alberi, i fiori, gli animali che riempiono le acque, i cieli e la terra.

Con un soffio eleggo a governo della mia creazione un essere speciale come da mia immagine, e poi un altro simile che lo aiuti. Insegno loro la gioia della spensieratezza, ma il seme della ragione cresce in loro e perdono il controllo e la fede sulla loro meravigliosa essenza. Si struggono così nel timore di una mia vendetta che mai potrà arrivare.

Lascio che abbiano l’impressione di perdersi, o di trovarmi, o di credere di non essermi sufficientemente vicini. Lascio che a loro volta mi immaginino con gli aspetti più diversi, anche simili al corpo fisico che si sono scelti per provare a loro stessi di esistere. Lascio che continuino a seguire Dei diversi da me, perché so che ogni Dio è comunque me, se non lo fosse non sarei Dio. Lascio che mi chiamino con il nome che preferiscono perché tutti i nomi sono il mio nome, ma anche perché in realtà io non ho un nome. Lascio che credano veramente in un inizio e una fine diversi da quelli reali. Lascio che si rivolgano a me e mi chiedano l’aiuto che sono convinti di non potersi dare da soli e lascio che credano che la soluzione che hanno trovato sia quella che ho suggerito.

Lascio semplicemente che l’uomo continui a vivere anche se crede di morire o di vedere qualcun altro farlo. Lascio che mi creda o che non lo faccia quando gli suggerisco le più belle cose che si possano immaginare. Lascio che mi uccida o che mi elegga a salvatore.

Tempo monocronico e policronico (specifica)

(dalla rete)

Monocronico è un termine per definire una persona estremamente legata a programmi e scadenze, chi si rende schiava del tempo come per esempio chi pensa solo a “produrre”. Policronico si riferisce invece a chi non è legato ai ritmi frenetici delle società consumistiche ma bensì riesce a godere dell’attimo sciogliendosi facilmente da eventuali impegni legati al tempo. Solitamente un monocronico ritiene disorganizzato e inaffidabile un policronico.

La definizione di tempo orizzontale per il tipo monocronico dà proprio l’idea di un continum di tempo strutturato in “passato”, “presente” e “futuro” secondo proprio una linea precisa, organizzata e ben definita, mentre il tempo verticale denota maggiormente l’importanza del momento relativo al “presente” sulla linea dello “scorrere” del tempo, quindi il qui e ora che permette una maggior libertà di scelta e di azione all’interno della propria esistenza.

Si possono riassumere le caratteristiche dei due tipi di personalità in questo schema:

Le persone monocroniche:


  • Fanno una cosa per volta
  • Si concentrano sul lavoro
  • Prendono gli impegni legati al tempo (scadenze, programmazione) molto seriamente
  • Agiscono in una logica low-context ed hanno bisogno di informazioni
  • Sono coinvolte dal lavoro
  • Aderiscono in maniera religiosa ai piani
  • Si preoccupano di non disturbare gli altri; seguono le regole della privacy e della premura
  • Mostrano grande rispetto per la proprietà privata; prendono in prestito o prestano con molta difficoltà
  • Esaltano la puntualità
  • Sono abituate a relazioni di breve periodo

Le persone policroniche, al contrario:

  • Fanno molte cose contemporaneamente
  • Si distraggono e interrompono facilmente
  • Considerano che un obiettivo si debba raggiungere, se possibile
  • Agiscono in una logica high-context e possiedono di già le informazioni
  • Sono coinvolte dalle relazioni umane e dalle persone
  • Cambiano piano spesso e facilmente
  • Si preoccupano di più di coloro ai quali sono legati (famiglia, amici, colleghi stretti), piuttosto che della privacy
  • Prestano e prendono in prestito spesso e facilmente
  • Basano la puntualità sulle relazioni
  • Hanno una forte tendenza a costruire relazioni che durano per tutta la vita

Io come qualità

Sono Io che creo l’uomo, lo creo a mia immagine e somiglianza, lo creo cioè come io me lo immagino: buono/cattivo, bello/brutto, caldo/freddo, ma comunque somigliante come essenza e funzionamento fisiologico. Ciò che infondo all’uomo sotto forma di bontà o cattiveria, di bellezza o bruttezza, è esattamente ciò che già esiste in me stesso come idea, sono quindi io a scegliere.

Io dove e quando

Dire che io sono qui e “tu” sei lì non è affatto in contraddizione con il dire Io sono lì tu sei qui. Entrambe le asserzioni sono reali se prese singolarmente. Se invece le prendiamo contemporaneamente si crea il pensiero analitico che tende a dare una di queste affermazioni per “reale” a scapito dell’altra. Con ciò intendo che tutto è vero e che qualsiasi idea è vera finché non ne viene analizzata una in contrapposizione che ne sconvolge l’assoluta verità.

Nel momento che io sono il vuoto, il nulla più assoluto, ho quindi ragione fino a quando non lo “realizzo”, o meglio fino a quando non lo penso. Dal momento che lo penso interpongo tra le due realtà apparentemente contraddittorie un “punto” di scelta tra l’assenza e la presenza, tra il vuoto ed il non vuoto, come realtà uniche e inevocabili. Sceglierne una piuttosto che l’altra non è né giusto né sbagliato perché in entrambe i casi io sono realizzato, ora come nulla e ora come Io pensante o come il pensiero stesso.

Dunque non sono Io in un universo bensì questi è dentro di me. L’universo è Io che si manifesta al mio “giudizio”. Se tralascio il “giudizio” ecco che Io appare esattamente quale è, senza i condizionamenti che riceve dalla stessa illusione che riesce a creare.

Non è la coscienza del tempo ad essere diversa tra ciò che credo separato da me in qualità di vari individui, civiltà, fasce di età eccetera. Non dipende neppure da una cultura monocronica che definisce il tempo orizzontale e neppure policronica che lo pone invece in verticale. Tutto dipende solo dal modo in cui tale tempo viene impiegato e definito congettualmente. In effetti un giorno è per tutti un giorno e un anno di 12 mesi sarà per tutti un anno. Al massimo è la percezione temporale dell’individuo a farne delle differenze.

Il continuo mutamento della percezione temporale è direttamente “generato” dall’Io con l’ausilio di fattori che possono essere “interni” o “esterni”, fattori che predispongono dunque ad una reazione dissimile nei vari casi.

Io destino o libero arbitrio?

Destino o libero arbitrio? Oppure ancora istinto condizionato?

Fermo davanti ad un bivio che rappresenta due distinte possibilità, devo effettuare una scelta, non importa quale.

L’importante è non rimanere immobile a porsi le domande riproposte qui sopra… l’importante è avere due o più possibilità tra cui scegliere… l’importante è proseguire quando hai scelto senza chiederti cosa sarebbe successo se avessi scelto un’altra possibilità piuttosto che quella che stai percorrendo.

Io mi sono permesso di assaggiare cose meravigliose e cose che invece mi hanno fatto piangere, soffrire. In tutti questi casi ho in seguito lasciato che queste situazioni si allontanassero, le belle con dolore, le altre con gioia. Potrei quindi dire che tutte indistintamente hanno prodotto le stesse situazioni di gioia/dolore/piacere, quindi tali emozioni non sono legate alle situazioni in sé, bensì al loro avvicinarsi o allontanarsi.

Dolore e sollievo dipendono forse dal nostro osservare un evento avvicinarsi o allontanarsi con la sola implicazione del pensiero.